Questo personaggio nasce da una commistione di più personalità femminili vissute nel Manicomio di Astino come pazienti, le cui storie sono caratterizzate da un'atmosfera di melancolia e tragica normalità.
La prevalenza della pazzia, spesso derivante dalla pellagra, trasformava donne "normali" in pazienti soggiogate da idee fisse e tendenze suicide, spesso innescate da piccoli gesti considerati trasgressivi.
Tali storie rappresentano la complessità delle condizioni umane e la fragilità di fronte alle malattie mentali e ai rigidi canoni sociali dell'epoca.
Questo personaggio corrisponde ad una commistione di più personalità femminili vissute nel Manicomio di Astino come pazienti. In genere la pazzia prevalente ad Astino era la melancolia, stato in cui le pazienti erano come intorpidite, senza energia, soggiogate da idee fisse con tendenze al suicidio.
Una delle cause principali di tali sintomi era la pellagra, una grave malattia che colpiva la classe contadina derivante da un’alimentazione basata sul consumo pressoché esclusivo di farina di mais.
Si trattava di donne “normali” che avevano la sola colpa di aver compiuto azioni ritenute inaudite ed inaccettabili la cui pericolosità si riduceva ad una mera questiona di pudore, come l’essere uscite di casa in veste da camera, trascurare la propria persona o dimenticarsi delle faccende domestiche. Anche se non mancavano casi di tentato suicidio, omicidio o figlicidio.
Una di esse era una donna di circa trent’anni, sposa e madre, che cominciò a dare segni di delirio e tendenze suicide dopo che il marito perse il lavoro.
La consapevolezza della mancanza dei mezzi economici idonei al sostentamento della propria famiglia aveva influito negativamente sulla ragione della giovane donna, dopo soli dieci giorni di ricovero presso il Manicomio di Astino ella si tolse la vita aprendosi il ventre con un pezzo di vetro.
Un’altra era una contadina di circa 42 anni, assalita da allucinazioni demoniache, fu costretta ad indossare il giubbetto di forza costantemente. La donna, convinta di essere "preda delle fiamme eterne” e di essere essa stessa il demonio, giunse al tentativo di seppellirsi viva in un angolo del cortile.
Una terza fu ricoverata perché ritenuta affetta da “malinconia da gelosia”: a pochi giorni dal parto, probabilmente a seguito di una forte inalazione di un disinfettante chimico, la donna rimase stordita e cadde in un profondo stato di depressione (o malinconia), fissandosi sulla gelosia per il consorte. Le sue tendenze suicide la portarono addirittura a chiedere al marito stesso di ucciderla.
Rinchiusa ad Astino, una mattina, durante una passeggiata sorvegliata dagli inservienti, riuscì a fuggire e a raggiungere la famiglia, che tuttavia la riconsegnò al manicomio dopo soli due mesi.
Solamente in seguito, il figlio la riaccolse in casa obbligandosi a sorvegliarla e, per quanto è possibile conoscere dagli archivi, la donna non fece più ritorno ad Astino.
Alessandra Civai, Lisa Fracassetti, “Storie dimenticate: follia e cura nell'antico manicomio di Astino”, guida al percorso e alla mostra-focus “Donne irregolari: voci femminili tra le mura del manicomio di Astino”, Congregazione della Misericordia Maggiore, Bergamo, 2019.